Il gioco e vietato ai minori e puo causare dipendenza patologica –
Consulta le probabilità di vincita www.adm.gov.it

Il gioco e vietato ai minori e puo causare dipendenza patologica –
Consulta le probabilità di vincita www.adm.gov.it

Taccuino degli US Open – Forza Bjorn

L’ex tennista svedese deve combattere contro il terribile male del cancro

Bjorn Borg – Foto Ray Giubilo

No, dai. Björn Borg no. Sarà una trovata di marketing, una scelta scellerata dell’ufficio stampa. La notizia è rimbalzata anche allo US Open, la dichiarazione choc che ha fatto nella sua autobiografia, Heartbeats, in uscita il 18 settembre: “Ora ho un nuovo avversario, il cancro, che non posso controllare. Ma lo sconfiggerò. Non mi arrenderò. Combatto come se ogni giorno fosse una finale di Wimbledon. E di solito vanno piuttosto bene, no?“. Faccio parte di quella generazione che è cresciuta con lui. O stavi con Borg o stavi con McEnroe. E io stavo con lui, che è diventato anche, nel 1993, un personaggio del mio primo romanzo, Terra rossa. Sì, la notizia è scioccante. Difficile trovare parole adatte. Non banali, non retoriche. E allora c’è quella finale degli US open del 1981, l’ultima sua in uno slam. Nei romanzi puoi inventarti ciò che vuoi. Io mi sono permesso di far parlare Björn Borg, di immaginare come potrebbe raccontare quella finale con John McEnroe, anche se si tratta di una “immaginazione guidata”, basata su varie interviste che lui rilasciò in seguito. Copio e incollo le due pagine del libro. Sperando che lui la vinca davvero, la finale che sta giocando adesso. Forza Björn.

«Anche quei due colpi incrociati di McEnroe erano rimbalzati nei pressi dell’incrocio fra le righe laterali e quella di fondocampo, solo che erano finiti abbondantemente fuori. Era un giorno di inizio settembre del 1981, durante l’ultima finale di un torneo del Grand Slam che ho giocato, l’ultima possibilità che avevo di vincere finalmente l’unico importante torneo che non ho mai vinto: gli Open degli Stati Uniti a Flushing Meadow.Siamo nel quarto set, il punteggio è 4-6, 6-2, 6-4, 5-3 a suo favore, ma 0-15 per me in questo nono game. In quello precedente sono riuscito ad annullare due match point e adesso ho la possibilità di portarmi teoricamente in parità sul 5 a 4, con il servizio a mio favore e poi chiudere magari al tie break questo set e andare al quinto, quello decisivo. Lui ha già compiuto un doppio fallo per cui mi trovo 0-15 e ho tutte le possibilità – e la volontà – di recuperare e di portarlo al quinto set. È lui al servizio: tutti i mancini mi mettono in difficoltà servendo largo a destra sul mio rovescio a due mani e costringendomi a uscire dal campo. È esattamente quello che lui fa in questo momento. A quel servizio di Mac, rispondo con un rovescio attraverso il quale tento a mia volta di metterlo in difficoltà, ma lo faccio senza convinzione dato che il suo colpo è uscito di almeno una decina di centimetri. Aspetto la chiamata del giudice di linea o, in subordine, del giudice di sedia, ma non si sente nulla e il mio passante viene intercettato da una volée di rovescio per me imprendibile, indirizzata all’angolo opposto, all’altro incrocio tra la linea di fondo e il lungolinea che, per mia fortuna, finisce fuori in maniera ancora più netta del colpo precedente. Ma, inspiegabilmente, anche qui nessuna chiamata, nessuno grida “out”, soltanto quelli del pubblico lo fanno, alcuni fischiano, protestano (e forse – almeno questa volta, per la prima volta – avrei dovuto farlo anch’io). Sembrano tutti dalla mia parte nonostante sia lui l’americano. Io me ne sto in disparte, lontano, quasi appoggiato al telone blu di fondocampo. Mac si china a legarsi la scarpa destra e io lo guardo per un attimo, poi guardo l’arbitro e, molto più a lungo, le corde della mia racchetta che tento di spostare con le dita. Quando le proteste del pubblico si placano fino al silenzio, l’arbitro annuncia il 15 pari e qualcuno ricomincia a fischiare. Sarebbe stato 0-30, e se adesso fossi andato 5 a 4, nel game successivo, con il servizio a mio favore, l’avrei prima raggiunto e poi di certo portato al quinto set. E al quinto set è sempre stato difficile battermi. Avrei vinto, ne sono sicuro. Invece siamo 15 pari, mi sento deluso e, anche se nessuno da fuori potrebbe accorgersene, ho perduto la concentrazione necessaria per continuare, per cercare di salvare questo match. Mac serve una prima palla di servizio in rete e poi una seconda abbastanza debole sul dritto che però sbaglio malamente buttandolo in corridoio: 30-15. Il servizio seguente è una prima potentissima sul mio rovescio alla quale rispondo ancora male: 40-15. Un altro doppio match point a suo favore e sento che questa volta non posso più farcela a rimediare. Lui sbaglia il primo servizio e il secondo è di nuovo debole, controllabile, ma nonostante ciò rispondo con un rovescio che va fuori di più di un metro. Per la terza volta consecutiva gli Open degli Stati Uniti vanno a lui, per la quarta volta io li perdo in finale. Due ore e ventinove minuti di gioco: 4-6, 6-2, 6-4, 6-3. Fu quella sera che cominciai a pensare di ritirarmi. Sentivo che sarebbe stato sempre più difficile vincere, non avevo più voglia di allenarmi tutti i giorni per ore e ore, mattina e pomeriggio. Però, se l’arbitro avesse chiamato “out” uno di quei due colpi…».

L’articolo Taccuino degli US Open – Forza Bjorn proviene da Il Tennis Italiano.

SCOPRI LE NOSTRE GUIDE

Iscriviti alla nostra newsletter

e ricevi tutti gli aggiornamenti dai migliori bookmakers!